venerdì 14 settembre 2018

NoBunny


Esco presto e vado al Beta Bar prima di cena.
E'venerdì 7 settembre, in programma: "The Cogs + Slushy (la backing band di..) + Nobunny", tassativa la presenza sotto al palco, ma non è abbastanza.
Mi va di parlare con Justin Champlin prima che lui e la sua band si trasformino in conigli pazzi e si mettano a saltare a destra e a sinistra rendendo impossibile scattare loro una foto quantomeno decente.
NoBunny
"Pizza time!" alle otto di sera, poi un po' di birre e chiacchierata pre-concerto, con il Beta Bar che va riempiendosi lentamente.
Justin è un ragazzo di Tucson, Arizona, con il cappellino e la t-shirt di una band, che si gode la serata senza fretta, che balla da seduto e simula la batteria del pezzo dei Television che stanno passando in sottofondo. I colleghi lo sostengono nel gioco, due parole fra intenditori e un sorso di Corona.
Ingannare il tempo e risparmiare energie per poi sperperare tutto una volta che sali in scena è una ginnastica per rock'n'rollers che si impara con il tempo.
Gli Slushy, la sua allegra backing band, che si esibirà prima di lui e dei Cogs in un live di aperturafatto di gradevolissimo punk in tonalità "tramonto californiano" - sebbene siano di Chicago - con Justin ( si, lui, NoBunny..) alla batteria, conoscono e hanno condiviso il palco con decine di band  delle quali mi snocciolano i nomi quando paragono la voce di Justin a quella di King Tuff. Quanti amici, quanti personaggi e situazioni più o meno assurde hanno visto, attraversando due continenti in un furgone, ormai da anni!
La scena punk internzaionale è un filo elettrico sul quale si può camminare sopra per migliaia di chilometri e per decine di anni, indietro e avanti nel tempo.
Slushy

Suonano per primi davanti ad un pubblico curioso ed alternano pezzi che sembrano "Going To San Francisco" di Scott McKenzie a boogie-woogie acidi, sguaiati,  irresistibili.
Al culmine di una parabola ascendente di foga e attitudine punk entrambi i chitarristi scendono dal palco e si sdraiano sulla schiena per un secondo, poi,  come presi da uno spasmo elettrico, si contorcono in capriole l'uno accanto all'altro avvinghiati alle loro Fender urlanti.
E poi in piedi, finito il numero, prossimo pezzo.








Poi tocca ai Cogs, l'unica band locale della serata.
Intanto che si preparano do un'occhiata in giro, stanno arrivando facce conosciute degli ambienti rock and roll del centro Italia. Facce sorridenti, chiappe da sgranchire dopo una guida di ore, dopo il lavoro e convenevoli pronti all'uso.
Dedicano abbracci sinceri ai compagni di banco nella scuola del Do It Yourself e Johnny ha già indossato i sui occhialoni scuri, cembalo in una mano, microfono nell'altra. Andy, invece, ha una lente mancante nei suoi, sembra una benda piratesca con la montatura.
Phil è pronto dietro ai tamburi.
T Re lo è già da un pezzo, armeggia con il basso, distribuisce birre sul palco.
Non manca più nessuno, comincia lo show.
The Cogs







Ci colpisce uno schiaffo di puro garage punk, spesso fatto di due soli accordi per giro, con il pedale del Fuzz di Andy acceso al primo pezzo e mai frenato, del resto perchè dovrebbe?
Le teste dell' audience si agitano, roteano, dondolano avanti e indietro.
T Re accende una sigaretta, un po' di cenere cade sul basso quando lo "stop and go" di un pezzo lo fa scattare sull'attenti.
Johnny, alla terza canzone, ha già percorso l'area del palco e della platea dieci volte, con un'espressione celata e misteriosa ti si avvicina, cantandoti in faccia o dritto nelle orecchie.
Passa un'altra ora ad alto voltaggio, i Cogs hanno divelto ogni barriera tra musicisti e spettatori, hanno fuso tutto in un nucleo incandescente di adrenalina, euforia, sarcasmo, sudore.
Hanno preparato il terreno ideale per un concerto di NoBunny.








Vado a prendermi un' ultima birra e getto un'occhiata nel parcheggio dietro al bar.
Gli Slushy e NoBunny sono già metà uomini e metà conigli, Justin è in mutande e so già che rimarrà così, senza pantaloni e scalzo. Un paio di manette penzolano dall'elastico sulla coscia, la giacca di pelle cortissima copre a malapena le sue scapole nude e poi c'è la maschera: un trancio di pelouche grigio con buchi sugli occhi e sulla bocca e due brandelli che simulano le grandi orecchie alti sulla fronte, un simpatico nasino da coniglio in plastica, una fascia elastica nei capelli che tiene tutto insieme.
Un'immagine allo stesso tempo simpatica e terrificante.
Così conciato va ad ordinarsi un whiskey al bar, sorprendendo i clienti che sulle prime restano di stucco, poi fanno una foto di nascosto, poi si fanno un'altra foto insieme a lui. Il suo personale spettacolo è già cominciato ed ha portato tutto il locale nella dimensione dell'assurdo.
I suoi compagni non sono da meno quanto a immedesimazione, tutti si sono trasformati come Justin, il palco ora è un mondo fiabesco parallelo che si è aperto un varco nel nostro, non c'è più niente da fare.
Un mazzetto di carote fresche viene legato al suo microfono, ora la scena è completa, comincia il delirio.







Justin prende la chitarra e saluta il pubblico con affetto traboccante, non lesina inchini e high-five a chi gli sbraita contro per incitarlo.
E' un concerto che stacca i piedi da terra subito.
I suoni sono pompati da riverbero e overdrive abbondanti, chi si è già stretto sotto al palco ne viene finalmente travolto. E' venuto per questo, e per la stridula quanto penetrante voce di questo animale mitologico che ci sta invitando a fare più casino che possiamo.








Abilità da intrattenitore di Varietà, acrobata, ballerino, punk rocker: un performer completo, benché privo di calzature e  pantaloni. Anzi, proprio per questo.
I pezzi di Nobunny, perfettamente interpretati dagli Slushy, circoscrivono l'area del punk e del power-pop, il pubblico più fedele che si è aggiudicato il primo metro dal palco canta tutti i sing along - il suo punto di forza - col dito puntato verso di lui.
Pezzo dopo pezzo, gag dopo gag, nella consueta apnea da concerto che proviamo quando non facciamo altro che urlare, fischiare ed applaudire contemporaneamente per un'ora dimenticandoci di respirare, lo spettacolo raggiunge il culmine.
La band sta suonando l'intro di "Cuck Berry Holiday", solo chitarra e basso, mentre lui canta e porta fra la gente il piatto crash della batteria.
Come fosse la cosa più naturale del mondo da fare in quel momento, Justin estrae un flacone di qualcosa e ci cosparge il piatto.
E gli dà fuoco.
Quel disco di metallo infiammato è ora il suo strumento e quando la strofa cambia e la batteria entra fulminea, lui colpisce a tempo il crash ripetutamente, correndo e saltandogli intorno a trecentosessanta gradi, mentre la folla che lo attornia sgrana gli occhi e approva la sua ennesima trovata della sera. Il fuoco si spegne. Prontamente riporta il piatto al legittimo proprietario in tempo per la rullata e cambio strofa - ma il cavo del microfono si è staccato, glie lo passano, canta con quello disponibile del bassista mentre risolve il problema - ed è di nuovo il momento di cantare con lui il ritornello.
E lui salta a centro palco, il coniglio bianco alla sua sinistra fa lo stesso, si teme che la pedana non possa sopportare oltre.

Invece sopporta tutto questo incredibile show fino alla fine.
Il mondo sguaiatamente fiabesco di NoBunny e dei suoi amici sparisce dietro le quinte.
Incrocio gli sguardi euforici di chi l'ha visto per la prima volta.
Osservo i sorrisi a mille denti di chi se l'è goduto di nuovo e sa che tornerà.

Luz

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