lunedì 2 ottobre 2017

Reverend Beat-Man & Sister Nicole Izobel Garcia



ll Reverendo non sta mai fermo prima di un concerto.
Come entri nel locale lo scorgi, vestito in doppio petto con tonalità texane come un country-rocker, un attimo dopo l'hai perso, poi ti sbuca di nuovo alle spalle.
Insomma, sai che c'è, è carico, è pronto.

Quindi, il tempo di una birra al bancone e senti un accordo blues sporco e metallico come un parafango che
proviene dalla sala. Lui è già sul palco, seduto, tra la sua cassa ed il charleston, un paio di chitarre intorno. Al suo fianco la "sorella" Nìicole Izobel Garcia, austera, costretta nel vestito e copricapo, non un sorriso, non un'emozione: teatralità.

Reverend Beat Man si prepara a giocare con noi.
Ci cerca, ci provoca.
Indossa il suo sguardo da clown schizofrenico, la luce lo illumina sotto il mento e sale su per i suoi zigomi disegnando una maschera che penetra le nostre menti: è proprio ciò che volevamo.
E' il desiderio di farci prendere e trascinare dal suo folle cabaret che ci ha portato qui. Le sue storie contorte di dialoghi con Satana, di incomprensibili rapporti incestuosi, di gioia di vivere e pienezza di se', di sesso e sangue, cioè. di blues.
Sister Nicole Izobel Garcia lo accompagna integrando la parte ritmica con percussioni minimali.
Quando ci vuole, lo fa con vigore deciso.
Poi si alza e canta una struggente canzone in spagnolo e noi ci sciogliamo in quella malinconica e deliziosa melodia, lo show è di livello elevatissimo.
Ci sono solo due artisti sul palco, quasi immobili, eppure si percepisce un'energia travolgente.

Suonano per una cinquantina di minuti, bis compresi.
Ne vorremmo di più.
Sembrano pochi attimi, perché non ci siamo persi neanche un millisecondo dei loro pezzi, del viso fasciato, e dello sguardo mesto e immobile di Sister Nicole ne' un sospiro del mefistofelico Reverendo, che già dopo un attimo, rimessosi l'abito country, ricomincia ad apparire e scomparire da un lato all'altro del locale, indaffarato fra il banchetto della sua Vodoo Rhythm Records, gli strumenti da portare via e i cento amici che non hanno perso l'occasione per venire a salutarlo, noi compresi.



Che leggenda, il Reverendo.

Luz

mercoledì 13 settembre 2017

Hund


Un giro di basso incalzante su una cassa in quattro quarti, subito morbidamente avvolti da armonici di chitarra in delay, poi un sussurro che affiora da questa nebbia viola.
Ragazzi di 19 anni che si conoscono tra i banchi di scuola, teenagers assonnati, quindi perennemente sognanti, fra le nebbie delle mattinate grige in attesa della prossima estate.

"Matches", il primo dei due pezzi del nuovissimo 7" degli Hund (da Venezia) inizia così e prosegue con  passo trascinante e ipnotico, con un ritmo disco-'70, ma soffuso, con riffs semplici e ben accostati in crescendo.
La definiscono :"..una canzone sulle corrispondenze e le coincidenze che ti fanno riflettere e diventare adulto, passando per i vizi e le insicurezze che devi sfidare in prima persona."

Decisamente più simile ai Drums e Beach Fossils è "Exer", la seconda (brevissima) traccia di questo interessante lavoro uscito per la We Were Never Being Boring Records, una pillola di bravura, una dimostrazione-flash delle loro qualità stilistiche.
E' la storia di un rapporto problematico con una ragazza, “quando non si è troppo maturi per affrontare la
situazione”.

Talentuosi ed affamati di musica come lo si può essere a quell'età, fertili alle influenze e pronti ad esperimenti multipli a base di indie-rock, dj sets ai rave parties, minimalismo anni '60 come Steve Reich o Terry Riley e attitudine shoegaze, gli Hund hanno tutti gli elementi per avventurarsi nella scrittura del primo album, in uscita il prossimo anno, che aspettiamo senz'altro con gioia, non avendo ascoltato che un primo delizioso accenno a ciò che sono in grado di fare e rimanendone affascinati.

Luz




lunedì 24 luglio 2017

ItalianParty 2017 - Umbertide



Partiamo per Umbertide nel pieno pomeriggio, è il 23 di Luglio, fa un caldo insopportabile, ma sono convinto che una volta arrivati, il calore che sentiremo sarà di un'altro tipo.

Tutti gli show di quel giorno si svolgono in un angolo della città, oltre la ferrovia, dentro un chiostro bellissimo e pieno di gente e sul palco nella piazza di fronte, quelli in acustico addirittura dentro alla chiesa adiacente.
Le mura che circondano i due spazi sono alte sei metri, il suono riempie l'incavo come un lago, noi siamo i pesci che ci nuoteranno dentro per tutto il giorno.
E siamo un numero non eccessivo, gestibile, in uno spazio che avvicina invece che disperderti.
Quindi osservo cento membri di band differenti che si abbracciano, ritrovandosi tutti insieme a suonare allo stesso festival, come non avviene quasi mai.
E' questo il calore che cercavo, in piena estate, a metà pomeriggio di un giorno di fine luglio.
Vago un po' tra i banchetti delle bands e delle etichette, che straboccano di produzioni e magliette, insieme a tutti quei ragazzi con i cappellini e gli occhiali grossi, la barba, i tatuaggi, un look che si scioglie dentro all'altro.
Tutto questo è la scena.

MOOD
I Mood si fanno circondare dal pubblico e stanno al suo livello, piedi a terra senza altari.
MOOD
E' così che lo coinvolgeranno nel proprio viaggio musicale.
Loopstation usata con stile per stratificare intriganti fraseggi jazz-rock, mentre la sezione ritmica spinge tutto insieme, passaggio dopo passaggio.
Padronanza della tecnica, gioia del suonare per divertire e divertirsi.

Torno dentro al chiostro ed è il turno dei Die Abete.

DIE ABETE
Hanno montato due batterie, una di fronte all'altra, è un gesto violento, una formazione tutta offensiva.
Eugenio frornteggia Lukas, eseguono le stesse identiche mosse, picchiano durissimo su pelli e piatti alzando le braccia al cielo e scaricandole sui tamburi a valanga, non sbagliando mai.
Intanto Marco e Michele riffano trash metal della Florida dei novanta sopra a questa apocalisse post-hardcore, e urlano tutto il disagio possibile.
DIE ABETE
Cambia il pezzo e Eugenio schizza dalla batteria al microfono centrale, ora è il frontman perfetto che vacilla, si accascia, rialza la testa e si lascia andare.
Le vene giugulari esposte, la bocca contorta per l'ultimo sguaiato grido verso il buio.
Intenso e schiacciante, annichilente.
E c'è ancora il sole alto.
HAVAH
Aspetto dunque il live degli Havah, si fa sera, la luce è quella più adatta al loro sound.
Ci suona il cantante dei Riviera, sono molto curioso.
Già dal check ricordano i suoni della new wave ottanta. Chitarre a tutto flanger e distorsione leggera, basso pulito più melodico che ritmico, atmosfera Dead Can Dance, i ritmi di batteria sono quelli che ti fanno subito dondolare la testa e accennare una danza guardando per terra.
HAVAH
La voce grave di Michele Camorani, ex batteriste dei La Quiete, echeggia monocorde, pare quasi Lindo Ferretti nei pezzi lenti dei CSI .
Si allenta un po' la tensione, si scende di bpm per rifiatare.
Perchè fuori già si prepara un altro assalto.
Sul palco in piazzetta stanno per suonare gli Zeus.
ZEUS
Il basso di Luca Cavina (Calibro 35) distorto e impastato di synth, octave e pitch che pare moltiplicato per cento e la batteria di Paolo Mongardi (Fuzz Orchestra) articolatissima, sincopata, estrema, su tempi impossibili a velocità di death metal (quello dei Cynic, degli Atheist, i Morbid Angel e Death, per intenderci) letteralmente ipnotizzano tutti. Sono soltanto due, ma quanto suono!
ZEUS
Si spingono oltre il tempospazio sonoro, oltre la concezione razionale del post-hardcore.
Come se da quel palco volessero spiegarci una "teoria del tutto", in una sola lezione, accelerata.
ZEUS
Osservo Luca nei suoi passaggi di scale strane su e giù per la tastiera del suo basso Fender, una serie lunghissima di note che grandinano giù.
Mi volto, mi spingo fin sotto la batteria di Paolo, per cercare di vedere i suoi occhi attraverso gli occhiali scuri, ma sembra un infallibile cyborg-drmmer, venuto da un'altra dimensione che compie la sua missione sulla terra.

ZEUZ

E poi stop, basta concerti, per oggi, ce ne andiamo lasciandoci alle spalle gli echi di un rullante in quattro quarti.
Gran bel festival, super location, Italia orgogliosamente sul podio del Rock, come sempre.

Luz



domenica 4 giugno 2017

Female Troubles



L'esperienza, le migliaia di kilometri percorsi insieme, le sbronze e i mal di testa del giorno dopo, stratificano come condensa sugli strumenti.
Ci puoi leggere la storia di una band, nelle macchie di birra e whisky e sputo su una chitarra, che guardi in controluce brillare sul palco.
E poi negli occhi e nel dondolare avanti e indietro dal microfono vedi l'energia che si propaga dalla testa ai piedi, incontenibile scarica elettrica nel cuore della punk band.

Ogni pezzo che suonano, i Female Troubles lo caricano di attitudine, te lo raccontano per qualche secondo prima di rovesciartelo addosso, come una birra media che vola in aria dentro a un pogo e ti centra in pieno.
Suonano veloci come il punk, si potrebbe dire. Quello "settantasette" quello dei Ramones, dei Damned di "New Rose" (che poi è del '76),
Funziona così: bisogna prendersi sul serio quanto basta per garantire uno show tirato, e poi tutto il resto lo fanno i pezzi, che corrono uno dietro l'altro sguinzagliati e aggressivi.

Anno dopo anno, si vive il punk coltivando la passione, stando dentro al mondo variegato delle band, incontrandosi ora per suonare, ora per far suonare, per ospitare in casa chi ha suonato.
Cresce la scena, si alimenta, perdura nel tempo.
I Female Troubles sono tutte queste cose.

Luz




mercoledì 24 maggio 2017

Cruel Experience - Lives Of Ugly Demons






Recensire l’album d’esordio dei Cruel Experience, dopo averlo ascoltato, è stato per me tanto piacevole quanto intrigante.


Sette tracce dalle quali emergono influenze e sfaccettature delle più varie, un sound composito dal quale traspaiono i gusti “variegati” di un gruppo che riesce a tirar fuori un risultato piacevolissimo all’ascolto.

Una evidente “passione” per il lo-fi che emerge ovunque, soprattutto nel cantato.
Nel disco si alternano pezzi dalla durata variabile da un minimo di due minuti a un massimo di 07:36 (“Bit the light”) anche con strutture particolarmente complesse e curate.
Probabilmente è il sound di Sonic Youth e dell’ampio panorama di bands post-rock, alternative e noise statunitensi di anni ’90 e ’80 a fare da “background” all’intero lavoro, proprio la già citata “Bit the light” ne può essere buon esempio.

Chiunque in "Lives Of Ugly Demons"  può trovare quel che gli piace: alle sonorità sopra citate si unisce un’evidente impronta Stoner ‘70s con richiami ovviamente ai Black Sabbath (“Help me Wizard” è una vera bomba!!) ma anche ciò che è “venuto dopo” come Fu Manchu, Shrine e chi più ne ha più ne metta.
Stacchi e rallentamenti strumentali psichedelici quasi "desert rock" caratterizzano pezzi come l’opener “Highway of lies”, e “Bad Moon” ti accompagna per cinque minuti in un’atmosfera cupa quanto quella dei pezzi precedenti ma con un suono semi-country che rapisce.

Insomma, gli ingredienti ci sono tutti e sono decisamente ben combinati, a parer mio è un ottimo debutto e spero che il gruppo lucchese ci riservi in futuro altre belle sorprese come questa.
Ascoltare per credere.

Il Romola

sabato 29 aprile 2017

Borderline Lovers


Un ragazzo nella sua camera da letto al buio, osserva la sera dalla finestra.
Guarda fuori, ma viaggia dentro di se' con i pensieri, trova ostacoli e contrasti, trova fratture da ricomporre.
Decide di provarci e per fare questo sceglie la via del Kintsukuroi: saldare con oro o argento ciò che si è rotto, donando nuova vita e magnificenza dalla distruzione.
Questa è la sfida che affronterà, ma non da solo.




Due compagni d'avventura scelgono di assisterlo e di viaggiare con lui, supportandolo con la forza del loro suono.

Borderline Lovers è un progetto che da solista si fa band conservando l'animo freddo dei pezzi di Aldo, che vengono arricchiti dall'oro e l'argento della batteria di Nicola e del basso di Michelangelo.
E' un sound in bianco e nero, è un buio denso ed apparentemente eterno.

Dovremo seguire queste ombre, accompagnare i Borderline Lovers alla fine della notte, portando con noi i pezzi rotti delle nostre esistenze, al gran cerimoniale del Kintsukuroi.

Luz





mercoledì 15 marzo 2017

The Cavemen


foto by tab_ularasa

Siamo tutti ammassati, dopo una cena ben innaffiata di vino, in uno Spectre Club tirato a lucido per la riapertura.
E' passato un anno, forse di più.

Quattro giovanissimi punks, con lo strano accento che sembra inglese ma che viene da un altro emisfero, si aggirano parlottando per il locale. Avanti e indietro tra il bar e il giardino, carichi, pronti, nonostante le distanze già percorse dalla Nuova Zelanda a qui.
Comincia lo show: è punk '77.
Autentico.
E' strano, così giovani ma con un sound così fedele, e non solo.
foto by tab_ularasa
Osservo da vicino Jack, il chitarrista selvaggio dal gilet leopardato indossato a pelle e lo stivaletto basso incrociare i passi e piegare le ginocchia, danzare con la chitarra come Mick Jones al Victoria Park.
Paul canta quasi in trance, sudato fradicio, a petto nudo con la sua collana di ossa. Apre le braccia e inspira profondamente, svuota il ventre, poi urla dentro il microfono, sputa di tutto.
Nick suona il basso e sembra, data la stazza, un Misfit biondo.

Dietro di loro, sui tamburi, coperto da una folta cascata di capelli rossi, c'è Jake, Sembra un ragazzino, eppure non ha incertezze e sostiene questo macello quasi da fermo.

Passano quaranta o cinquanta minuti, senza stacchi, madidi di sudore sul palco.
Chiediamo "two more songs" e veniamo accontentati.
Così si fa.

Luz

venerdì 3 marzo 2017

Special Interview - Wake Up In The Cosmos "De Rerum Natura"



Avere vent'anni e fare già parte della scena musicale psych-garage non basta.

De Rerum Natura, così si chiama l'album d'esordio di Wake Up In The Cosmos (potete ascoltarlo qui), è un percorso individuale di Francesco Bigazzi (synth in Thee Black Moon) necessario per sondare la propria profondità musicale, per modellare in piena autonomia, sottoponendo il risultato solamente al proprio giudizio artistico, la materia rock'n'roll di cui è intriso.
Shoegaze, noise, punk fuoriescono dai pezzi nitidamente.
Chitarre acustiche accostate a riverberi distorti e voci che sembrano segnali di vita da un'altra galassia, man mano che il disco gira e suona, si pongono come elementi base di questo universo.

Uscito a Febbraio per Zootropia Records, questo lavoro è l'ennesima dimostrazione di quanto possa essere varia e versatile la scena underground italiana.
Di quanto sia pronta a qualsiasi sfida creativa.

Luz










sabato 18 febbraio 2017

The Classmates



One! Two! Three! Four!
E ci siamo: sedicesimi sul charleston, Gibson Les Paul Junior con distorsione mediosa e calda, basso pieno e costante.
Gianlu, Otti e Zucc, bolognesi, coordinati e precisi.
Traspare un' intesa impeccabile da compagni di classe affiatati, che passano ore in sala prove a definire cambi e controtempi.
Un po' " X " quando in doppia voce si rispondono e molto power-pop nel resto.
Una sola chitarra può bastare, se si riempiono i vuoti con efficaci licks e si sparano assoli di bending e bicordi quanto mai appropriati al genere.
Pezzi fatti di un punk rock classico, ma mai scontato.

C'è sempre tanto da dire correndo su queste strade elettriche.
E' bello ripercorrere sentieri più che conosciuti trovando il proprio passo.
Il pubblico si mette in cammino con te, sicuro che la destinazione sarà a portata di mano e ti segue con carica ed entusiasmo se percepisce l'attitudine giusta.
Un'ora abbondante di belle canzoni.

Ho seguito The Classmates, birra dopo birra, e sono arrivato al punk.

Luz


giovedì 12 gennaio 2017

The Majors




Nella periferia romana si muove un folto gruppo di punks sciamante tra circoli e centri sociali.
Una forte sinergia di personalità scanzonate ma anche incazzate a morte, se ci vuole.
Musicisti o sedicenti tali, grafici, performers: ragazzi e ragazze che con il loro lavoro tengono in piedi una fra le più importanti realtà di questo dannato Paese, organizzando concerti, disegnando logo e magliette, registrando dischi, promuovendo, sbattendosi, lottando.

Sono tutti pronti a dire la loro, a non prendersi troppo sul serio salendo su un palco, con ironica umiltà, come suole tra amici.
Una volta sopra, però, sfogano giorni e giorni di lavoro, di traffico, di marciapiedi, scaricando una raffica di accordi, sudore e sputi sull' audience carica a molla che li segue.
I Majors fanno parte di questa schiera a pieno titolo.

Un autentico punk-rock, senza troppi inutili aggettivi intorno, che taglia i fili con il mondo assurdo e grigio fin dal primo riff che ascolti.

Belle canzoni che sanno di rivincita, di felicità per le semplici cose che a volte trascuriamo o ignoriamo in mezzo al casino quotidiano.
Cose che meritiamo o meriteremmo, memoria e rispetto, sogni: pilastri fondamentali.
La voce graffiante di Major Emme è il primo colpo che i Majors ti assestano.
Si sposa perfettamente con il genere, con l'attitudine.
Pensi a qualcuna che troveresti sicuramente, con i suoi capelli oggi rosa, domani verde smeraldo, in mezzo a un pogo, mai ai lati, senza paura di sbucciarsi un gomito, che tanto cosa vuoi che sia.
Seguono l'esperienza ed il gusto nel creare esplosivi stop-and-go che questa punk band sfoggia senza riguardi.
Basso e batteria al fulmicotone, chitarre pronte come centometristi allo sparo.


E questa adolescenza che si respira con il loro sound nelle orecchie, che ci piace tanto, che tanto ci serve.


Luz